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Come non
associarsi alle
giuste e concise
considerazioni
del cronista (La
Nazione dell’8
maggio)
sull’opportunità
di far sparire
dal paesaggio
(già fortemente
provato) di
Porto Venere la
pittoresca
«casetta»? Che
si sappia, la
deliberazione
dell’amministrazione
comunale non è
giustificata da
impellenti
necessità del
traffico
stradale e, per
contro, si
verrebbe a
privare il
caratteristico
borgo ligure, se
non proprio di
un monumento
storico degno di
tal nome, di una
memoria
sentimentale
connessa al
nostro
travagliato e
faticoso
Risorgimento
nazionale.
Pensate: a Porto Venere si è rispettato,
nel nuovo clima
repubblicano e,
diciamolo pure,
con alto senso
civile più
unico che raro,
un pregevole
monumento ad un
Re sabaudo che
nel Risorgimento
ebbe parte non
certo di primo
piano, il Re
Umberto; ed
oggi, con gran
naturalezza, si
vuol abbattere
la soglia
ospitale sulla
quale trovò
rifugio in
questa nostra
prima libera
terra colui che
ne fu uno dei
maggiori
artefici!
In quell’estate del 1849, che fu forse la
più triste nella
vita di
Garibaldi,
insieme, per la
perdita di Roma
e della sua
Anita, mentre
l’Eroe vagava di
monte in monte e
di casolare in
casolare, per
l’Appennino
toscano, furono
i patrioti del
Golfo ad ordirne
segretamente il
salvamento, in
unione al
comitato
genovese del
quale faceva
parte Maria
Mazzini, ad
emissari in
Toscana e
nell’Italia
centrale in
genere.
Certo, non a caso, il santerenzlno padron
Paolo Azzarini
si trovò ai
primi di
settembre ad
attendere
l’Eroe, con la
sua barca da manaite, nel
golfo di
Follonica; ma se
nella fuga a
piene vele verso
Porto Venere,
col prezioso
carico a bordo,
fosse incappato
nella crociera
delle
pirocorvette
toscane che
(assai bene
informate)
avevano ordine
di catturare il
fuggiasco, la
nostra storia
dell’indipendenza
poteva avere
altro corso...
Fatto storico di
grande
importanza,
dunque,
l’approdo di
Garibaldi alla
casetta di Porto
Venere nel
settembre del
1849.
In occasione della scomparsa di Garibaldi a
Caprera nel 1882
fu, se non erro,
la società
Operaia di Porto
Venere «
Istruzione e
lavoro » a
deliberare di
tramandare il
ricordo
dell’avvenimento
in una lapide,
dettata da mio
padre che,
allora ventenne,
aveva assistito
allo sbarco del
generale,
accompagnato dal
fido capitan
«Leggero» un
coglioio della
Maddalena, eroe
leggendario
delle precedenti
gesta
garibaldine in
America ed in
Italia.
Orbene, mi sembra d’interpretare l’opinione
di molti
portoveneresi
suggerendo che
la casetta non
sia demolita, e
che la lapide,
venutasi a
trovare, per
forza di cose,
in posizione
assai poco
felice — e sotto
alcuni aspetti
indecorosa —
venga
trasportata sulla facciata a
mare del piccolo
e significativo
edificio.
Questo potrebbe essere artisticamente
trasformato,
alla occorrenza,
sullo stile
locale,
dimezzandolo al
livello stradale
e ricavandone un
belvedere nella
nuova copertura;
destinando i
locali interni
sia allo scopo
già indicato da
La Nazione, sia
a mostre
artistiche o ad
altri fini
turistici.
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